Torna a Poesie Lo Scarpia FuriosoVitto-manzoniano

 

Lo Scarpia Furioso

La Tosca, il cavalier Mario, l'amore
disperato che li legò io canto
al tempo in cui a Roma da ogni cuore
sgorgaron stille di sincero pianto
perch'è all'udire del loro gran dolore
ogni Romano si sentiva affranto
costretto quasi a toccare con mano
quanto il poter può esser disumano.
Dirò di Scarpia, che divenne matto
d'amor per Tosca che lo disprezzava
e che volle ricorrere al ricatto
per ottener quel che desiderava.
Fu però Tosca ad ignorare il patto
proprio quando oramai s'abbandonava,
perchè,arrivati al momento più bello
gli ficcò dentro al cuore un gran coltello.
Il cavaliere Mario era un pittore
che amava sia i francesi che le donne
e invece di pensar solo al colore
correva dietro alle più belle gonne
senza badar che trafiggeva il cuore
di Tosca che, vestite da Madonne,
le vedeva ogni volta con sorpresa
dipinte sugli altari di una chiesa.
Scarpia poi, che era ministro pontificio,
in preda alle pulsioni più frementi,
cercava di attirarla nel suo ufficio
per dar sfogo ai suoi bassi sentimenti
e usando del poter con maleficio
le suggeriva i vari tradimenti
che Mario consumava alle sue spalle,
anche se eran solamente palle.
Ma Tosca non cedeva facilmente
lei pensava soltanto al suo pittore
amandolo di cuor sì fedelmente
pur se provava dentro a sè dolore,
così che Scarpia un po' miserevolmente
si consolava col televisore
palpeggiando lo schermo, disperato,
ove il corpo di Tosca era effigiato.
La tragedia scoppiò quando Angelotti,
riuscito a scappar fuori di galera,
nonostante di Tosca i gran rimbrotti,
cercandosi un rifugio per la sera
ottenne dal pittor non sol biscotti,
ma una gran prova d'amicizia vera:
alfin, con la complicità della compagna,
fu nascosto in un pozzo giù in campagna.
Ma Scarpia mangiò presto la foglietta
per far Tosca il segreto palesare:
con l'aiuto del suo fedel Spoletta
a morte Mario fece condannare
e di fronte alla donna assai interdetta
lo fece crudelmente torturare.
E lei,più spaventata di un coniglio,
svelò del conte il celato nascondiglio.
Mentre Angelotti in preda allo sconforto
convinse lo spietato suo aguzzino
che per lui era meglio finir morto
che cader nelle grinfie del mastino,
un patto infernal fu a Tosca estorto
dalle subdole arti del furbino:
se a Scarpia lei si fosse data vinta,
l'esecuzion sarebbe stata finta.
Per ottener la donna fu ridotto,
schiavo della passione, il bel barone
a stilare un papal salvacondotto
per cui entrambi su di un gran barcone
allontanatisi dalla città a gran trotto
sarebbero fuggiti in previsione
di sbarcare in America un bel giorno
senza in patria poter far più ritorno.
Scarpia non era poi tanto cattivo,
aveva qualche giustificazione:
di coccole e d'affetto sempre privo
crebbe dei genitor senza attenzione,
in un ambiente quanto mai retrivo,
non ebbe da sua madre mai del latte
e il padre gli tirava le ciabatte.
Tosca, dalle sue voglie inorridita,
pensando al beneamato prigioniero,
sfuggi abilmente alle rapaci dita
del torbido impazzito uomo nero
e, quando era già persa la partita,
lo uccise coraggiosa di gran botto
e portò a Mario il suo salvacondotto.
Ma si rivelò inutile il delitto
che aveva insanguinato le sue mani:
mentre rassicurava il derelitto
che l'avea accolta con sospetti strani,
ebbe anche lei il cuore suo trafitto.
Attese la fatale fucilata
e scoprì d'esser stata ahimè ingannata.
Cullò piangendo il suo Mario diletto
ninnandoselo con pietosa voce
poi si tolse,accurata, il sandaletto
e, facendo anche il segno della croce,
montò lesta sull'alto parapetto:
di consapevolezza in un barlume
si tuffò a capofitto giù nel fiume.
Ma un angelo biondino e assai piacente
recuperò il bel corpo inanimato
ed urlando con voce dirompente
lo depose vicino al morto amato,
gesto che fu di certo commovente
per concluder dei due l'amaro fato.
Anch'io concludo il triste mio racconto:
leggetemelo tutto, ormai ci conto!

franca

Vitto-manzoniano

Ei, cu fu? Siccome nobile,
dato quel Si Bemolle,
stette il fUnclub immobile
scosso nelle midolle.
Così percosso e attonito
il pubblico ora sta
muto, pensando all’ultima
performance del cantattor fatale
né sa quando una simile
Voce di attor mortale
le sue preziose orme
a calpestar verrà.
Lui, sfolgorante Conte,
vide il mio senno e tacque
quando lì sulla scena
morì, risorse e giacque,
e a mille voci insipide
mista la sua non ha.
Devesi alfin l’ encomio
a lui, radioso raggio
(e sorge spontaneo il giubilo
pei fUns ch’ebber coraggio
di sciogliere la voce
pur se cantar non san).
Dal GT al Datch Forum
fino all’immensa Arena
ancor del Si bemolle
la eco si ode piena.
Cantò in Italia e all’estero,
dall’uno all’altro mar.
E la sua Gloria?
E' certo: di lei non può far senza.
Noi chiniam la fronte al David
Zardacchion, che volle a lui,
nel creator suo spirito,
sì vasti ruoli assegnar:
geloso e bieco il Frollo
orbo di fede e ingegno,
Scarpia Barone indocile
Folle nel suo disegno,
E Vlad di sangue avido
e d’amor che fa dannar.
Tutto ei provò (con Gloria
Egli affronta ogni periglio!)
Da Mara alla Carlucci,
Costanzo e il suo cipiglio!
E mai fu nella polvere:
rifulse il suo cantar!
Chi l’ superò? Niuno!
Il canto suo ascoltato
sommessi a lui si volsero
come aspettando il fato,
pur chi di canto e musica
ne masticava già.
Oh, quella volta, all’amalfitan
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
scrisser le mani esperte
versi, che tosto, il dì seguente
Carluccio musicò.
Oh, quante volte seppe
narrar se stesso imprese,
della serrata gabbia,
del colpo ch’ egli prese
e com sé trascinando
in quinta riparò.
Cos’ io ripenso al rosso
tendone e al suo kabuki,
a quando si è incastrato,
a quegli strappi e ai buchi,
ai concitati applausi
e a Vlad che vi trionfò.
Ahi! forse a tanto strazio
resister più non posso
e non potrò, ché spero ognora
nel GranTeatro rosso
Vitto ascoltare ancora
nel suo “Risorgerò”.


Ilda